di Ivan Marsura
Un secolo fa, sul nascere del primo conflitto mondiale, moriva a Roma il Papa Pio X. Era il 20 agosto 1914. Albeggiava appena la guerra che avrebbe portato alla morte milioni di persone, distrutto città intere, monumenti e cambiato per sempre il cuore delle persone. Il Papa si è spento silenziosamente, appena ricevuta la notizia che sarebbe scoppiato tale conflitto.
Sabato 23 agosto 2014, presso il parco del Santuario delle Cendrole a Riese Pio X, Treviso, il segretario di Stato, Card. Pietro Parolin, celebrerà una santa messa a ricordo.
Ho il piacere di donarvi, a capitoli, una pubblicazione inedita sul Papa Sarto, scritta nell’ultimo anno.
San Pio X
Il fuoco ardente
Giuseppe Melchiorre Sarto, il futuro Papa Pio X nasce a Riese , un piccolo paese in provincia di Treviso il 2 giugno 1835. Il padre, Giovanni Battista Sarto (1792-1852), ricopriva l’incarico di cursore comunale ed era un modesto possidente, la madre, Margherita Sanson (1813-1894) invece era un’umile sarta “illetterata”, analfabeta. Il matrimonio fra il quarantenne Giovanni Battista e la ventenne Margherita era stato celebrato nel 1833. Da questo matrimonio, durato 19 anni, sono nati in totale 11 figli. Il futuro Papa sarà il secondogenito.
Battezzato il giorno successivo la nascita dal Cappellano di Riese don Pier Paolo Pellizzari, lo stesso cappellano che qualche anno prima aveva unito in matrimonio i genitori del futuro Papa, Giuseppe Sarto vive la propria fanciullezza ed adolescenza come un fanciullo normale, ma con un carattere vivace ed impulsivo tanto che, oltre a saper leggere e scrivere, come ce lo descrive il suo biografo ufficiale Mons. Marchesan «imparò pure a rispondere alla santa messa, a frequentare il coro, in una parola, ad andar per chiesa. Non mancava mai alla dottrina cristiana, al catechismo ed alle atre istruzioni».
Date le spiccate doti di intelletto il Sarto fu introdotto anche allo studio del latino dal parroco don Tito Fusarini. Ogni giorno il giovane si recava al Santuario mariano delle Cendrole che dista circa due chilometri dal centro di Riese. Il suo pellegrinaggio quotidiano avveniva con gli zoccoli in spalla proprio per non consumare quell’unico paio di scarpe che gli era stato confezionato. Il Santuario della Madonna delle Cendrole è considerato la pieve matrice di tutte le chiese sorte nei dintorni.
Fin da piccolo quindi si manifestò in lui la chiamata al sacerdozio. Nel 1845 riceve il sacramento della Cresima ad Asolo conferito dal Vescovo Giovanni Battista Sartori Canova e l’anno successivo, ad 11 anni fu ammesso alla prima comunione. Nello stesso anno sostenne da privatista l’esame di chiusura del primo ciclo di studi per poter così accedere al ginnasio di Castelfranco.
Per anni, dal 1846 al 1850 percorse quotidianamente a piedi quei 7 chilometri da Riese a Castelfranco per frequentare gli studi. Sempre con gli zoccoli sulle spalle. Solo nell’ultimo anno poté qualche volta viaggiare su di un carretto trainato da un somaro, serviva al fratello Angelo, apprendista falegname a Castelfranco Veneto. Ogni anno poi sosteneva gli esami nel seminario di Treviso risultando sempre al primo posto con il massimo dei voti. Nel 1850 corona i suoi studi risultando primo fra i 43 alunni privati.
L’idea di consacrarsi sacerdote era oramai maturata in lui. Decide di entrare in seminario. Il padre non era però molto contento di questa decisione anche per non gravare con il costo della retta del seminario sui bilanci della famiglia, di per sé non benestante.
Fu per intervento del Patriarca di Venezia Jacopo Monico di origine riesina che si concesse il posto gratuito presso il collegio Tornacense Campion di Padova e quindi l’accesso al seminario della città e anche di una borsa di studio destinata ai seminaristi poveri.
Il 19 settembre 1850 entra nel seminario di Padova e riveste gli abiti clericali. Fin da subito spiccano nuove doti nel giovane chierico che, a soli 15 anni, viene insignito del compito di prefetto primo di camerata. A lui spetta redigere brevi commenti sulla moralità ed il comportamento dei suoi compagni di camerata. I superiori noteranno ed individueranno la sua spiccata dote di comprendere l’animo umano.
Scriverà Pierluigi Occelli: «I superiori, dopo soli sei mesi, definiscono l’alunno Sarto con queste espressive sentenze: disciplinae nemini secundus, ingenii maximus, memoriae summae, spei maxime».
In questi anni mantiene ed incrementa il suo epistolario con alcuni sacerdoti che hanno avuto per lui ruolo di formatori, uno fra i tanti quello con il sacerdote don Pietro Jacuzzi.
In seminario oltre allo studio delle materie di protocollo, eccellendo nello studio del latino e della matematica, ma essendo leggermente carente in filosofia, esordisce in primo ruolo con la composizione di 15 brani musicali da lui composti per la Settimana Santa, dapprima scelto come maestro di musica fra i chierici e poi eletto direttore della Cappella Musicale del seminario.
Nel 1852 la morte del padre Giovanni Battista e del suo fratello Pietro Gaetano, deceduto quattro giorni prima della morte del padre.
Fra il 1855 ed il 1858 viene ammesso ai vari gradi dell’ordine ecclesiastico: ostiariato e lettorato (22 dicembre 1855), esorcistato e accolitato (6 giugno 1857), suddiaconato (19 settembre 1857), diaconato (27 febbraio 1858).
La solenne ordinazione sacerdotale avvenne il 18 settembre 1858 per mani del vescovo di Treviso, il Beato Giovanni Antonio Farina (1803-1888) nel duomo di Castelfranco. Avendo meno dei 23 anni richiesti per diventare sacerdote fu richiesta alla Santa Sede la dispensa per poter accedere in anticipo all’ordinazione. Il 19 settembre dello stesso anno, accolto dal popolo festante di Riese celebra la prima messa nella chiesa del Paese.
CAPPELLANO DI TOMBOLO
Del periodo in cui fu cappellano a Tombolo serberà uno dei ricordi più belli, “gli anni più belli della mia vita” avrà a dire. Tombolo, piccolo paese in provincia di Padova ai confini con la diocesi di Treviso, era un paese per lo più dedito al commercio: gli abitanti erano per lo più sensali, gli attuali agenti di commercio, e venditori di bestiame. Fu assegnato come coadiutore del parroco don Antonio Costantini che sostituiva più volte per le sue precarie condizioni di salute, aveva contratto la tubercolosi. Fin da questo primo incarico spirituale il giovane Sarto non si risparmia per nessuno. Data l’alta povertà della popolazione spartiva generosamente persino il frumento a lui spettante per la funzione sacerdotale.
Qui, in questo ruolo, affina le sue capacità oratorie. In diocesi è conosciuto ironicamente come “cappellanus de capellanis”, viene richiesto in tutta la diocesi per tenere omelie e discorsi sacri. Si può dire che si spendesse giorno e notte per i suoi parrocchiani: dormiva poco, era onnipresente fra la sua gente, dispensava consigli, sostituiva quasi ad interim il parroco nella malattia, insegnava canto e istruiva i giovani della parrocchia insegnando loro a leggere e scrivere. Ai processi canonici per la sua beatificazione alcuni testimoniarono che conoscesse molto bene i Monti di Pietà di Cittadella e di Castelfranco Veneto, qui impegnò più volte il suo orologio d’argento e si sobbarcò di debiti. Scriveva il parroco don Antonio ad un confratello: «Mi hanno mandato per cappellano un giovane sacerdote coll’ordine di formarlo al dovere del parroco. Vi assicuro invece che avverrà il contrario. Così zelante, così pieno di buon senso e di altre doti preziose, che io potrei imparare molto da lui».
Nel 1867, su invito del vescovo Federico Maria Zinelli, partecipa al concorso per una delle cinque parrocchie vacanti della diocesi. Nel maggio di quell’anno diventa parroco di Salzano, la più importante fra le cinque parrocchie vacanti. Lasciava Tombolo dopo nove anni di servizio.
PARROCO DI SALZANO
L’ingresso del trentaduenne don Giuseppe Sarto a Salzano avvenne senza fasti. Anzi, alcuni notabili del paese, abituati a sacerdoti illustri, ritennero il Sarto non degno del titolo di parroco di Salzano. Il parroco di Tombolo ebbe a scrivere nuovamente ad un confratello: «Peccato che don Beppe non si chiami rev. Monsignor nob. De Sarto, prelato domestico, cubiculario a secretis, cavaliere in partibus, eccetera… Sventura e tristizia degli anni che corrono! Con 60 ducati e anche meno si avrebbe potuto procacciare titoli meritevoli di un episcopato. [….] Ma a che meravigliarsi di codesta specie di essere che misurano gli uomini colla spanna, se tra gli stessi chercuti (ecclesiastici, nda), sebbene per altro motivo, v’hanno di coloro che non si possono persuadere e dar pace che tanta fortuna sia toccata al Sarto?».
Un distico composto dai parrocchiani di Salzano però dopo nove anni così recita: «El xe vegnùo con la veste sbrisa / el xe partìo senza camisa» .
Anche qui come a Tombolo il parroco Sarto si spese anima e corpo (e denaro) per i più bisognosi. Anni difficili in cui soccombeva il colera e l’imposta sul macinato gravava sui conti delle povere famiglie: canonica sempre aperta, Monti di Pietà, legna da ardere, cereali… tutto quello che aveva lo condivideva con gli altri. Per tale ragione si troverà costretto a vendere anche l’asino della parrocchia.
L’imposta del macinato aveva acceso conflitti con l’esercito tanto che una canzone esasperante del momento diceva: «Prendi quel sasso, butta quel pan / paga la màcina, porco villan. / Su bravi o signorini, buttate gli ombrellini, / gettate i vostri guanti, lavoratevi i campi. / Noi andiamo in America». L’emigrazione era un altro dei problemi a cui il giovane sacerdote doveva arginare.
Poi il colera, estate 1873, diffusosi fra le provincie di Venezia e Treviso, raggiunse Padova e da li poi in Friuli estendendosi con punte sino in Liguria e Campania. Don Giuseppe si prestò molte volte sia come infermiere e necroforo.
Il suo stile pastorale intanto si consolidava e ampliava. Amava, quando le finanze lo permettevano, acquistare dei libri, tenersi aggiornato. Continuava, in linea con quanto aveva fatto a Tombolo, con l’insegnamento della musica e delle materie scolastiche tanto che il comune gli affidò l’apparato scolastico in toto. Il vescovo Zinelli, a visita pastorale compiuta, non poté che complimentarsi con il sacerdote Sarto.
Fu così che il suo vescovo, nell’estate 1875, lo volle a Treviso come canonico della cattedrale, direttore spirituale del seminario vescovile e cancelliere in curia. Dopo nove anni lascia Salzano per il nuovo incarico.